Come il coaching può aiutare l’insegnamento trai i banchi di scuola

Grazie al Team di Sport4life per avermi coinvolto nella redazione di “Buone pratiche e amore per l’apprendimento” che ha pubblicato l’articolo seguente nel numero di Maggio 2021, Edizioni Sport4life.
Se sei curioso e vuoi leggere tutti gli altri contributi sulle buone pratiche e l’amore per l’apprendimento puoi scaricare l’intera pubblicazione qui: http://sport4lifecoach.com/includes/e-book/ebook-3.php

“Nessuno studente è perduto se ha un insegnante che crede in lui”

Faccio l’insegnante di Filosofia e Storia al Liceo da alcuni anni, ma prima ancora, ero e sono una Coach professionista che lavora con i propri clienti.

Premetto che non ho mai cercato l’insegnamento come sbocco professionale della mia vita, sebbene ad un certo punto, proprio mentre stavo iniziando a costruirmi un’altra professionalità, il mondo della scuola mi ha, seppur tra mille dubbi, cooptata. Le condizioni di inizio sono state talmente fortunate che sembrava proprio che l’universo tramasse per attirarmi dentro questa realtà. Così mi sono fatta tentare, ed eccomi qua: costantemente a chiedermi come coniugare i due approcci, come portare un po’ di coaching dentro l’aula, come svecchiare certi modi di fare per potenziare in questi ragazzi fiducia, consapevolezze, potenziale, responsabilità e autonomia.

Ancora più oggi, in questo momento storico, in questo anno di pandemia e di stravolgimenti. Abbiamo passato tantissimi mesi in DAD, abbiamo tenuto le scuole vuote, chiuse, e imparato tutti a trasferire il nostro tempo-scuola su piattaforme online.

Dove mettere allora il focus come insegnante, in questo mutato modo di relazionarsi e di fare scuola? Come resistere alla DAD e trovare le giuste priorità per non perdersi nella pesantezza di questi mesi apparentemente privi di senso?

Devo riconoscere che sotto questo punto di vista, il mio essere coach è stato talora salvifico perché mi ha permesso di tenere al centro dell’attenzione quelli che sono davvero gli elementi importanti di una relazione educativa, o di crescita, a prescindere che passino per un incontro fisico oppure online.

Elementi che possono trasformarsi in un potente motore di motivazione e di coinvolgimento per i ragazzi.

Il primo aspetto fondamentale, che vale sempre, sia in presenza sia online, è il saper porre al centro delle nostre attività l’orientamento alla relazione e all’incontro con i ragazzi, con tutti e con ciascuno, e ancora di più, perché non va mai dato per scontato, un forte orientamento al rispetto di tutti, nelle differenze e nell’unicità presenti in ciascuno di loro; è fondamentale dedicare loro del tempo, poterli ascoltare, cogliere le loro emozioni o i segnali che mandano, dare loro spazio, prima di tutto come persone. Solo dopo aver fatto tutto questo e aver consolidato una buona relazione, può trovare radicamento l’attenzione ai risultati didattici più strettamente intesi, ai risultati di programma o di attività svolte, che saranno una conseguenza di questa maniera di vivere il tempo-classe.

Questo vuol dire ad esempio permettere ai miei studenti di esprimere in qualche modo se stessi, la loro specificità e la loro personalità: lavoro solitamente con adolescenti dai 16 anni in poi, quindi incontro ragazzi molto vivaci, altri meno, alcuni loquaci e altri silenziosi, alcuni riflessivi e altri istintivi, alcuni con una personalità già forte e definita, altri ancora decisamente confusi. Ognuno è per molti aspetti assai diverso dagli altri… Ciò che conta per una buona riuscita della nostra vita scolastica, è che tutti sentano di avere un posto, che tutti si sentano accettati e rispettati nel loro modo di essere. Che possano cioè sperimentare se stessi in un ambiente protetto, al sicuro da critiche e giudizi squalificanti, in un ambiente incentrato sull’osservazione e sull’ascolto, sul riconoscimento e sul rispetto di tutti. Insomma, è necessario che essi sentano che possono esprimere il loro modo di essere, la loro identità in divenire, e sentirsi adeguati, sempre e comunque.

È chiaro che questo non significherà totale assenza di regole o cornici, né sarà sinonimo di anarchia o di lassismo dentro la classe o la videochiamata, anzi: all’interno delle regole che l’istituzione scolastica ci pone, all’interno dei ritmi didattici usuali, all’interno persino della burocrazia che dobbiamo giornalmente affrontare, sarà importante offrire ad ognuno dei ragazzi l’occasione per esprimere liberamente un pezzettino di sé, misurarsi con le sfide in maniera sicura, osare, crescere e in questa maniera riuscire ad elevare la capacità di apprendere nel rispetto di tempi, interessi e modalità personali.

Varrà la pena qui sviluppare 2 esempi, tra tutti: misurarsi con l’errore e trattare con le emozioni.

Cos’è l’errore e come viene visto, solitamente? Deve continuare ad essere visto come qualcosa di riprovevole, da criticare e mettere alla gogna, un segno negativo e indelebile che rimarrà nelle memorie di ciascuno per l’umiliazione che esso porta con sé? O non è forse solo una constatazione di ciò su cui devo ancora lavorare, dell’area su cui posso ancora migliorare, la delimitazione di quello che ancora non mi è chiaro? O l’errore in fondo non è solo un feedback di “non ancora compreso”, che va perciò depotenziato dei suoi significati negativi e di giudizio squalificante…?

Similmente, le emozioni sono un segnale forte e importante di come i ragazzi stanno vivendo un particolare momento della loro vita. E chiaramente non sempre essi hanno gli strumenti per comprendersi a fondo, capire cosa sta accadendo dentro di sé. Allora, in quanto adulti dovremmo ricordarci che ancorare, fissare cioè, emozioni negative dentro i ragazzi non è una buona strategia se vogliamo motivarli a studiare, dovremmo ricordarci che provocare un’umiliazione ci attirerà le loro antipatie per anni (e questo a cascata si riverserà sulle discipline che insegniamo); piuttosto, dovremmo ricordarci che se li mettiamo in condizioni di sentire emozioni positive, di sicurezza o persino di piacevolezza, ci seguiranno con più attenzione e studieranno più volentieri, ricordando quelle emozioni.

Che effetti può generare questo approccio ai ragazzi, in termini di apprendimento e di “successo scolastico”, quindi?

Credo che gli effetti possibili nel tempo siano tanti, anche se non sempre a breve termine.

Quando un ragazzo sa che può liberamente parlare, allenare le proprie capacità in maniera sicura, manifestare le sue emozioni senza paura, esprimere un pensiero personale e misurarlo con quello degli altri, il tutto sentendosi compreso, ascoltato in maniera acritica, è naturale che rafforzerà anzitutto la sua fiducia in se stesso, specie se percepisce che anche un’altra persona sta investendo fiducia in lui. Così, un ragazzo potrà sperimentare ad esempio che può liberamente parlare in pubblico esprimendo una sua opinione su un tema particolare perché non dice solo cose stupide, o che può farlo perché neanche gli altri sono perfetti quando lo fanno.

Insieme alla sua fiducia, cresceranno le occasioni in cui si mette in gioco e si sforza di riuscire in qualcosa, rafforzando così il suo senso di auto-efficacia: sperimenterà che “se voglio, posso davvero riuscire”. Allo stesso tempo crescerà il suo ingaggio nei confronti dell’insegnante che lo supporta: sarà cioè più motivato a sforzarsi di raggiungere un risultato concordato con chi sta giocando una partita al suo fianco, con chi lo ha investito di una certa responsabilità e crede che può farcela; con buone probabilità raggiungerà risultati sempre migliori.

Quella che si innesca è insomma una spirale positiva di rinforzi che porta i ragazzi a confrontarsi con se stessi e con gli altri in maniera positiva e costruttiva, sfidando i propri limiti, imparando dall’errore piuttosto che rimanerne schiacciati, e vivendo l’esperienza dell’imparare con piacere.

Come concretamente può avvenire questo processo? Quali strumenti lo consentono realmente?

Sicuramente, accanto all’attenzione all’altro come persona, alle sue reazioni, emozioni e atteggiamenti, possiamo usare un’arma potentissima che è la domanda, la domanda come apertura e incontro dell’altro, un continuo domandare aperto, di incontro, creativo e maieutico: dal primo inziale “ragazzi come state oggi?”, al chiedere tutte le volte che sia possibile cosa ne pensano, cosa è loro piaciuto di un tema, cosa non condividono di un autore, cosa oggi riterrebbero ancora attuale o applicabile e cosa no… I ragazzi, poi, sanno essere spesso particolarmente critici verso ciò che viene loro imposto, e allora sfruttiamo insieme questa vena critica per capire come loro risolverebbero una determinata situazione, o quali altre opzioni potrebbero trovare per aiutare a risolvere un problema.

In secondo luogo, occorre generare feedback positivi ed efficaci: una scuola che continui a sottolineare di rosso gli errori senza mai valorizzare il potenziale, i talenti e i risultati, è ormai superata. I ragazzi hanno bisogno di conferme quando fanno bene, e hanno bisogno di capire a specchio, grazie anche agli insegnanti, quali potenzialità stanno maturando, che progressi hanno fatto, che specificità emanano. Allo stesso modo, se devono correggersi, devono capire bene come e cosa, con feedback di miglioramento specifici e tarati sulle azioni. Ancora una volta, mantenendo la propria identità al sicuro, senza critiche o giudizi svalutanti.

Questa scuola spesso così distante e fredda, ancora così antica e tradizionale, rischia di essere vissuta, soprattutto dagli adolescenti, come un mero obbligo da adempiere. Nella mia seppur giovane esperienza, troppi ragazzi ho visto terminare il ciclo di studi secondario con il desiderio represso di non entrare più in quel luogo o di non dover più prendere quei libri: parole e desideri che fanno male… perché se guardiamo indietro, alla nostra esperienza di studenti, tutti capiamo che quando un ragazzo odia una materia scolastica, sta reagendo anzitutto contro l’insegnante tramite cui l’ha conosciuta, così come quando un ragazzo ama una disciplina, lo fa soprattutto in nome delle belle emozioni lasciate in lui dall’insegnante che gliel’ha filtrata.

E allora, ben oltre le urgenze (si spera temporanee) della pandemia, credo che oggi sia nostro dovere lavorare a lungo termine affinché questa scuola si avvicini ai giovani, alle loro giovani vite, alle loro giovani menti, ai loro interessi e alle loro passioni. Occorre lavorare perché si sentano coinvolti, impegnati, motivati e interessati, e perché piano piano possano sentire la scuola anche come una cosa loro. Perché prima o poi si interessino persino di come lasciarla migliore di come l’hanno trovata.  

In fondo, tra una manciata d’anni saranno loro a guidare questa società, e se qualcuno di loro avrà maturato il desiderio di fare nuove scoperte scientifiche, di aiutare il prossimo, o di migliorare la direzione politica del nostro paese e ci riuscirà, sarà anche merito di qualche bravo insegnante.